Il dramma dei garibaldini in Siberia
 
L’immagine ritrae alcuni dei partecipanti bergamaschi all’impresa promossa da Francesco Nullo. In piedi da sinistra: Andreoli, Venanzio, Richard, Lucio Meulli. Seduti sulle sedie da sinistra:Giacomo Meulli, Clerici, Giupponi. Seduti sul pavimento da sinistra: Bendi, Caroli



Nell’inverno 1862-63 il Comitato della Democrazia europea (tra gli aderenti figurano anche Giuseppe Mazzini e Karl Marx) cerca di rinnovare la “primavera dei popoli” del 1848. L’obiettivo è scatenare una rivoluzione generale nel Continente, partendo dalla vasta area che comprendere i territori danubiano-balcanici fino ai possedimenti dell’Impero Ottomano (Grecia, Albania e Montenegro). In sostanza, alla Santa Alleanza dei Re consolidatasi all’indomani del Congresso di Vienna (1815), s’ intende contrappore l’Alleanza dei popoli per riconquistare la libertà con le armi in pugno: la serie di sollevazioni popolari, organizzate in maniera sincronica, dovrebbe determinare il crollo delle potenze centrorientali (Austria, Prussia, Russia) e dello stesso Napoleone III in Francia dando così luogo alla formazione di tante repubbliche democratiche. Il piano d’azione prevede che le prime a conquistare l’indipendenza siano, nell’ordine, Polonia e Ungheria, proseguendo con il completamento dell’unità d’Italia attraverso la conquista di Venezia e di Roma. L’inizio dell’operazioni è fissato per l’aprile del ’63.

Tuttavia, l’arruolamento di massa ordinato daI governatore russo Wielopolski, il quale sospetta imminenti iniziative di rivolta, spinge il Comitato ad anticipare l’insurrezione a gennaio ( la notte tra il 14 e il 15). Le conseguenze sono disastrose, poiché i Comitati dei singoli Paesi europei si trovano del tutto impreparati a portare aiuto. Nondimeno, la posta in gioco è troppo alta per lasciar morire la rivoluzione polacca sul nascere: per questo, in favore del popolo insorto, specialmente in Italia, Inghilterra e Francia ci si mobilita in fretta, sebbene in maniera caotica con comizi, petizioni parlamentari, sottoscrizioni per l’invio di armi e denaro.

In Italia, il dibattito sul sostegno alla Polonia vede coinvolti principalmente il Partito d’Azione di Mazzini e Giuseppe Garibaldi. Entrambi si dichiarano favorevoli ad un intervento diretto dei volontari italiani a sostegno dei ribelli polacchi, tuttavia antiche tensioni fra i due massimi protagonisti del Risorgimento italiano impediscono un accordo.

Nel frattempo, le dimissioni del governo di Umberto Rattazzi, seguite alle proteste popolari sollevate dalla crisi di Aspromonte, ed il varo di quello di Luigi Farini nel dicembre 1862 producono cambiamenti significativi nella situazione politica. Il nuovo presidente si mostra subito interessato agli avvenimenti di Polonia tanto da meditare l’invio di un reparto dell’esercito in aiuto degli insorti. Ma nel marzo ’63, Farini minaccia con un coltello il re perché dichiari guerra alla Russia e viene prontamente sostituito da Marco Minghetti che chiama al Ministero degli Esteri Emilio Visconti Venosta. Subendo l’influenza francese, il nuovo governo respinge fermamente l’idea insurrezione nel Veneto e nega ogni aiuto a Garibaldi. Nella speranza di ottenere riconoscimento da parte dello zar Alessandro II, viene inoltre chiusa la scuola militare polacca di Cuneo, centro di addestramento degli emigrati polacchi.

Petizioni ed appelli al Parlamento italiano per invitare il governo ad intervenire in Polonia continuano comunque ad arrivare. In un quadro di profonda crisi politica dell’Italia, priva di solidi collegamenti con le altre forze della democrazia europea, di fronte all’indecisione del governo e dei maggior esponenti del Risorgimento italiano Francesco Nullo, luogotenente di Garibaldi, e il compagno d’armi Luigi Caroli si fanno promotori di una solitaria spedizione in Polonia (alla quale prenderanno parte numerosi volontari garibaldini, italiani e francesi) che dovrebbe rappresentare il primo passo di sollevazione di tutta l’area danubiano-balcanica per abbattere gli imperialismi dell’Austria e della Russia.

Mentre Nullo, tramite il Comitato Rivoluzionario Polacco in Italia, prende contatti con il generale Marian Langiewicz alla testa degli insorti polacchi per formare un piccolo corpo di volontari (diciotto dei quali bergamaschi) da portare a Cracovia, Caroli provvede ai dettagli logistici dell’operazione.

Nullo è il primo a mettersi in viaggio, il 19 aprile 1863. Una volta superata la frontiera italo-austriaca a Peschiera sul Garda, dà quindi il “via libera” agli altri legionari da Udine. Il 21 aprile è dunque la volta di Elia Marchetti, Febo Arcangeli, Luigi Testa, Alessandro Venanzio; il 22 Paolo Mazzoleni e Fermo Calderini; il 23 Giovanni Maggi, Ambrogio Giupponi, Giuseppe Dilani; il 24 Giacomo Cristofoli, Giovan Battista Belotti, Francesco Isnenghi; il 25 Emanuele Maironi, Aiace Sacchi e un non meglio identificato Cattaneo. Per ultimo giunge a Vienna Luigi Caroli.

A Cracovia, si uniscono agli italiani anche volontari francesi, tra i quali troviamo Émile Andreoli, autore di preziose memorie. Formalmente Nullo assume il comando dei patrioti italo-francesi e di oltre cinquecento combattenti polacchi: nei fatti, a guidare la legione sarà il giovane e inesperto “generale” Josef Miniewski. Una scelta fatale per il destino di Francesco Nullo e dei suoi compagni.

Il 2 maggio il contingente lascia Cracovia e dopo tre giorni, non senza difficoltà, raggiunge la località di Krzykawka (nei pressi di Olkusz) dove viene sorpreso dai cosacchi. Nullo cade in combattimento e verrà sepolto ad Olkusz e ricordato come eroe nazionale (di cui tuttora si conserva viva la memoria in terra polacca), mentre Elia Marchetti ferito morirà due giorni dopo a Chrzanow. I bergamaschi Caroli, Arcangeli (ferito ad un ginocchio), Venanzio e Giupponi, insieme ai fratelli Meuli, il Clerici, il Bendi ed i francesi Andreoli, L. Dié, Charles Richard vengono catturati e mandati ad Olkusz, dove rimangono per due settimane sotto sorveglianza russa in una casa privata. Il 20 maggio i prigionieri vengono trasferiti da Olkusz a Czestochowa.

Tre giorni dopo, il 23 giugno, ha luogo il processo di fronte a un tribunale militare che si conclude rapidamente con una condanna a morte per Andreoli, Caroli,Venanzio, Giupponi, Luciano e Giuseppe Meuli, Clerici mediante capestro e a dieci anni di lavori forzati per Borgia, Richard e Diè.

Il 3 luglio ai prigionieri viene comunicata la commutazione della pena di morte in privazione di ogni diritto civile e la condanna a dodici anni di lavori forzati per Andreoli, Caroli, Clerici, Venanzio, i due Meuli e Giupponi e a dieci anni nelle prigioni della Siberia per Dié, Richard, Bendi, poiché appartenenti a un ceto e a un grado inferiori rispetto ai primi.

Un altro bergamasco, Febo Arcangeli di Sarnico, ebbe un processo a parte, a Radom, in quanto trattenuto a Olkusz perché ferito a una gamba., in seguito sconterà la condanna nella cittadina di Išim , presso Omsk. Nel frattempo, Bernardo Caroli, fratello di Luigi, si reca a Varsavia, nella vana speranza di agire sulle due autorità più importanti della Polonia russa grazie alla sua fitta rete di amicizie e contatti professionali (i Caroli sono una delle famiglie di industriali del tessile più in vista d’Europa). La stessa popolazione bergamasca è coinvolta in una campagnia di mobilitazione in favore dei garibaldini deportati: tra le varie iniziative, ricordiamo anche il saggio La spedizione degli italiani in Polonia (Vedi Bibliografia ) del medico e patriota bergamasco Francesco Alborghetti, scritto per sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi.

Il mattino del 5 luglio 1863, i condannati intraprendono il viaggio che li condurrà alle prigioni siberiane stipati su un vagone del treno Varsavia - San Pietroburgo. Il percorso, di circa 9500 km, verrà completato in otto mesi (dal 3 luglio 1863 al febbraio 1864). Le tappe toccate saranno: Varsavia, Grodno, Pietroburgo, Mosca (in ferrovia); Mosca-Vladimir-Nižnij Novgorod, Perm’, gli Urali, Tobol’sk (su vetture di posta);Tobol’sk-Tara (per lo più a piedi, alcuni con le catene, in una colonna con i delinquenti comuni; Tara-Kainsk (odierna Samara)-Tomsk-Ačinsk-Krasnojarsk-Irkutsk (su telegi, ovvero carri senza sponde); Irkutsk-il Bajkal-Čita- Petrovskij Zavod su slitte o con mezzi vari, in parte a piedi. Il viaggio si conclude nel remoto villaggio di Kadaja a soli dodici Km dal confine con la Manciuria.

I lavori forzati iniziano a Petrovskij Zavod, nelle miniere di ferro e proseguono a Kadaja nelle miniere d’argento.

Nel lungo trasferimento attraverso tutta la Siberia e nei periodi trascorsi a Petrovskij Zavod, Aleksandrovskij Zavod e Kadaja, i “garibaldini” hanno contatti con rivoluzionari russi e, soprattutto, con patrioti polacchi che instaurano profondi legami di solidarietà. Dai loro racconti emergono forti personalità, quali quella del vecchio decabrista Ivan. I. Gorbačevskij; il colonnello russo-ucraino Andrej Krasovskij, condannato per essersi rifiutato di soffocare alcune rivoltes coppiate nella sua terra natìa; il pensatore, scrittore e critico letterario Nikolaj Černyševskij, autore del noto romanzo Čto delat’? (Che fare?) ; il poeta Michail Michajlov, il patriota polacco Szimon Tokarszewski, ricordato da Fëdor Dostoevskij nel suo Zapiski iz Mërtogo doma (Memorie da una casa di morti).

Verso il 3 giugno 1866 le già precarie condizioni di salute di Luigi Caroli subiscono un improvviso peggioramento: sopravviene una forte febbre, poi il delirio. Gli viene diagnosticata “un’infiammazione cerebrale” che non può essere curata per la mancanza di farmaci adatti. Muore l’8 giugno.

Diverso il destino degli altri garibaldini: il 16 aprile 1866 viene, infatti, emanato un editto dello zar Alessandro II, grazie al quale gli stranieri (circa 400 persone) condannati per l’insurrezione polacca del 1863 vengono amnistiati e rimpatriati. L’editto diventa attivo solo a partire dal dicembre dello stesso anno, troppo tardi per Caroli. Tra il dicembre 1866 e il settembre 1867 , dunque, i sopravvissuti rientrano in Francia e in Italia: il viaggio di ritorno non è meno travagliato dell’andata, anche se lo spirito con cui viene affrontato è certamente diverso. Venanzio e Giupponi trasportano fino a Bergamo una zanna di mammut acquistata sulle sponde del lago Bajkal e, ancora oggi conservata, presso il locale Museo Civico di Scienze Naturali “E. Caffi”.


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Bibliografia

Con la presente bibliografia s'intende fornire, nei limiti del possibile, un quadro esaustivo delle opere di carattere scientifico e delle testimonianze relativi alla deportazione dei garibaldini in Siberia a seguito della sconfitta nella battaglia di Krzykawka.

Seguono i documenti memorialistici dei garibialdini e gli studi scientifici ad essi dedicati.



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SITOGRAFIA



Scheda a cura di: Alessandra Elisa Visinoni

Data ultimo aggiornamento: 21 settembre 2020